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Sanità, al Gratosoglio mancano ambulatori medici

Al Gratosoglio mancano ambulatori medici: dopo la chiusura di via Baroni e via Saponaro molti abitanti del Gratosoglio sono stati costretti a scegliersi medici al di fuori del quartiere. Un disagio per tutti ma soprattutto per gli anziani

Dopo la chiusura degli ambulatori di via Baroni e via Saponaro molti abitanti del Gratosoglio sono stati costretti a scegliersi medici al di fuori del quartiere.

Naturalmente questa situazione è causa di disagio, soprattutto per i pazienti più anziani che hanno maggiormente bisogno di cure e meno agio a spostarsi per raggiungere ambulatori situati al di fuori della propria zona.

Le rimostranze degli abitanti del quartiere sono sfociate, l’anno scorso, in una petizione promossa dalla Caritas, rivolta all’Assessorato regionale alla Sanità, al Sindaco di Milano, alla ASL ed al Consiglio della Zona 5, per chiedere il reintegro degli ambulatori chiusi. A parte la ASL nessuno rispose alla petizione.

La ASL dopo aver disquisito sul “corretto rapporto tra medici di base e popolazione”, ha dimostrato di essere consapevole della situazione venutasi a creare con la chiusura dei due ambulatori di cui si diceva più sopra ed ha provveduto ad includere il quartiere Gratosoglio nell’elenco degli “ambiti carenti”, vale a dire dei luoghi dove si registra una presenza insufficiente di medici di base.

Per la verità, gli abitanti del Gratosoglio già lo sapevano di trovarsi in un “ambito carente” e chissà se sentono più tranquilli da quando la loro condizione è stata ufficialmente riconosciuta.

Ma per uscire dall’ “ambito carente” vi sono due ostacoli da superare. In primo luogo il reperimento di locali adatti, in secondo luogo il potere di indirizzo dell’ASL verso i medici affinché esercitino il servizio in una determinata zona.

L’ALER, coinvolta per risolvere il primo dei due ostacoli, cioè il reperimento dei locali, indicava due spazi di sua proprietà, che dovevano però essere ristrutturati e poneva l’eterna domanda che sempre si pone quando si tratta di fare dei lavori (e non solo): chi paga? Essendo l’attività del medico un’attività privatistica, quantunque facente capo al servizio sanitario pubblico, non compete a nessun ente pubblico finanziarla.

Per quanto riguarda il secondo problema, l’ASL non ha nessun potere di indirizzo. Un medico quando assume l’incarico, può anche decidere di aprire il proprio ambulatorio in una zona differente da quella dichiarata carente. Il che vanifica l’obiettivo che l’ASL si prefigge.

In tema di carenze, questo fatto mette in luce una carenza normativa cui la Regione Lombardia, competente per la materia, dovrebbe porre rimedio, per non correre il rischio che gli “ambiti carenti” restino tali a lungo, se non per sempre, visto che è lasciata facoltà al medico del servizio sanitario pubblico di esercitare la propria attività anche in zone diverse da quelle in cui il servizio risulta deficitario. La contraddizione è manifesta e dovrà prima o poi essere sanata.

Di conseguenza, allo stato dei fatti, la soluzione come si vede non è semplice. O si trova un medico disposto a sborsare la somma necessaria alla ristrutturazione di uno degli spazi disponibili, cosa che non è avvenuta finora e non c’è un gran che da sperare che avvenga in futuro; oppure che sia l’ALER, indotta o di sua sponte, a provvedere alla ristrutturazione, dilazionando nel tempo il più possibile il rimborso delle proprie spese, in maniera da invogliare un medico a stabilirvi il propro ambulatorio.

Questo è lo stato attuale delle cose. Altre strade percorribili non se ne vedono, a parte forse uno sforzo di concertazione tra Regione, ASL, ALER e associazione medici di base, che produca la soluzione desiderata.

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